Si potrebbe pensare che la crescita delle vendite on-line si sia ripercossa sulle performance dei centri commerciali. Niente affatto visto che le società che gestiscono gli shopping center non solo continuano a prosperare ma continuano ad investire centinaia di milioni in villaggi dello shopping sempre più faraonici visti i clamorosi ritorni sugli investimenti. Ne fanno le spese i negozi di vicinato, anche quelli collocati in aree privilegiate, costretti ad abbassare le saracinesche.
Il centro commerciale è costruito come un surrogato (o piuttosto un simulacro) di città, dello struscio cittadino costruiti di modo che il frequentatore perda il senso della realtà e del trascorrere del tempo seguendo dei percorsi progettati per fare vedere la maggior parte delle merci esposte e promuovere gli acquisti ad impulso.
Gli shopping center non sono progettatiper il comfort del visitatore ma per dare vita a quello che viene chiamato Gruen effect, da nome del designer che progettò il primo shopping mall nel 1856.
Lo shopping center viene progettato come una struttura completamente artificiale(priva di storia) ed autonoma, depurata dal contatto con l’habitat umano. I centri commerciali stanno alle città come le mummie stanno agli esseri viventi dei quali riproducono in modo deformato la figura.
Il centro commerciale è sempre illuminato artificialmente (non c’è differenza tra notte e giorno), è sottratto alla variabilità della meterologia (vento, pioggia, neve), esiste soltanto come pura attività commerciale, una cittadella dello shopping, una cattedrale del consumo, privo di finestre e alberi. Dello spazio del centro urbano ci sono solo i negozi privati dalle distanze tra di loro, ma non chiese, monumenti storici, piazze; soprattutto non ci sono residenti.
Victor Gruen , architetto austriaco è diventato famoso come l’ideatore del centro commerciale (almeno nel senso moderno del concetto) con parcheggi, vetrine rivolte solo all’interno e aria condizionata.
Ma il nome di Gruen viene associato anche ad un senso di disorientamento che verrebbe artificialmente indotto nel cliente per spingerlo all’acquisto ( “transfer di Gruen”). Comunque Gruen ha sempre respinto questa responsabilità, ritenendola non vera e, in ogni caso, non a lui riconducibile.
Il disorientamento del visitatore/cliente consegue anche (o soprattutto) alla calcolata disposizione dei percorsi di attraversamento, che tendono ad occultare la direzione per l’uscita, ad allungare le percorrenze in modo da sottoporre l’utente ad un maggior numero di occasioni di acquisto (vedi il labirinto IKEA, entri per poi constatare quanto difficile sia uscire, nel frattempo compri). Alcuni, forse polemicamente, hanno assimilato l’esperienza degli shopper all’interno del centro commerciale ad una forma particolare di autoreclusione.
L’emittente televisiva australiana ABC ha creato uno show estremamente popolare denominato GRUEN TRANSFER, che affronta e divulga le strategie della pubblicità e del marketing per renderci felici comprando … a nostra insaputa.